martedì 30 ottobre 2012

Mente Animale - Verona, 27 ottobre 2012


Desidero innanzi tutto ringraziare Roberto Marchesini per avermi invitato a partecipare a questo incontro, ma soprattutto ringrazio quella buona stella che mi ha permesso di incrociare il mio percorso di studio e professionale con quello di Roberto.

Ci sono delle posizioni, sui temi politici e culturali che sono connessi alle cosiddette battaglie animaliste, che fin da giovanissimo ho sostenuto in modo assolutamente istintivo, ed è per me una grande soddisfazione ed anche una gioia l’avere la possibilità, attraverso questi incontri, di cogliere in maniera sempre più forte e nitida le conferme che ci vengono date dalle nuove discipline legate all’etologia, alla psicologia cognitiva, alla neurobiologia, che confortano sempre di più quelle mie istintive convizioni.

Anche nel mondo del diritto gli animali sono oggetto di una sempre maggiore attenzione. Sul piano giuridico, la frontiera che ora abbiamo di fronte è il tema della soggettività da riconoscere agli animali. Questi ultimi, come noto, non sono soggetti di diritto, dal momento che non hanno, né possono avere, capacità giuridica. Tuttavia gli animali, pur non essendo soggetti di diritto, devono essere destinatari di doveri da parte dell’uomo. La cosiddetta etica della responsabilità, di cui è insigne portavoce la professoressa Luisella Battaglia, ci dice che dunque il nostro compito deve essere quello di prenderci cura degli animali, essendo questi ultimi comunque capaci di sofferenza, benché privi di soggettività giuridica.

L’evoluzione delle discipline scientifiche sopra richiamate apre con forza invece il tema, che è anche un tema etico, del riconoscimento di una sorta di soggettività giuridica a coloro che sono da considerarsi come “persone non umane”. Prendiamo l’esempio dei delfini. Lori Marino, esperta di neuroanatomia dei cetacei presso la Emory University di Atlana, sostiene che i delfini hanno tutti i requisiti per essere definiti “persone”. Il loro cervello è persino più grande in volume del nostro, ed ha una neocorteccia, sede delle capacità cognitive superiori (che vanno dall’intelligenza sociale, ai pensieri astratti, fino alla capacità di autocoscienza) molto sviluppata. Anche Diana Reiss, ricercatrice dell’Hunter College presso la City University of New York, studiosa dei mammiferi marini, concorda sul fatto che i delfini non solo comprendono le istruzioni che vengono impartite dagli umani, ma  sono dotati di una mente e di capacità di pensiero che li rende in grado anche di risolvere problemi inediti.

Dunque non sono solo gli scimpanzé ad essere candidabili al titolo di “persone non umane”. Da molti anni esiste il cosiddetto “Progetto Grandi Scimmie Antropomorfe” (in inglese “Great Ape Project”, che è anche il titolo del libro in gran parte derivato dal movimento in favore dei diritti degli animali, a cura dei filosofi Paola Cavalieri e Peter Singer), che si propone di ottenere, da parte dell ONU, una Dichiarazione dei Diritti delle Grandi Scimmie Antropomorfe che estenda a tutti i primati antropomorfi alcuni dei diritti già riconosciuti all'uomo, come il diritto alla vita, alla protezione della libertà individuale, proprio sulla base della contiguità con gli umani.

Ora questa caratteristica pare venir fuori anche da altre linee evolutive, ed anche ai delfini si può adattare la definizione di “persone non umane”. Nel concetto di “persona”, infatti, rientra, come fa notare Pietro Greco nell’articolo “Ecologia delle menti” sulla rivista scientifica “Micron”, chi è consapevole dell’ambiente in cui vive, ha personalità, autocontrollo, relazioni appropriate sia con i membri della sua stessa specie, sia con gli altri esseri viventi, sia con il resto dell’ambiente in cui vive. E dunque rientrano nella definizione sia gli scimpanzé che i delfini, ed anche gli altri animali con le loro intelligenze, che non sono “inferiori” dalla nostra, ma semplicemente “diverse” dalla nostra.

Inoltre, proprio recentemente un gruppo di ricercatori, tra cui neurofisiologi e neuroscienziati computazionali, ha sostenuto, nella Cambridge Declaration on Consciousness, che “l’assenza della neocorteccia non sembra impedire agli animali di sperimentare stati affettivi” e che moltissimi animali, dai polpi al pappagallo cenerino africano, sembrano possedere facoltà cognitive e consapevolezza di sé.

Se ciò dovesse essere confermato, lo statuto morale e giuridico degli animali dovrebbe cambiare, e questi dovrebbero essere trattati davvero come “persone non umane”. Le conseguenze sarebbero gigantesche, e ne conseguirebbe l’immediata chiusura dei delfinari, degli zoo e di tanti altri luoghi dove si consumano incredibili violenze nei confronti degli animali. Ed invero, un delfino costretto a vivere in una vasca non solo sarebbe passibile di “maltrattamento”, ma altresì di una sorta di “sequestro”, che, come noto, è un reato contro la persona.

Tentativi di cambiare lo statuto giuridico degli animali li troviamo da molto tempo. Addirittura se ne può individuare una traccia anche nel diritto romano, ed in particolare nella concezione ulpianea dello ius naturale, il diritto naturale comune a uomini e animali.
Ma è solo durante l’ultimo secolo che scienziati, umanisti, zoofili, giuristi, sociologi e politici sono stati sollecitati ad affrontare seriamente il problema della tutela della vita animale nella società. Ne è scaturito un ampio dibattito mondiale che ha condotto alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Animale proclamata il 15 ottobre 1978 nella sede dell'Unesco a Parigi.
Anche se la predetta Dichiarazione non ha alcuna forza cogente, si è trattato di un passo avanti che ha portato molti Stati, nell’ultimo trentennio, ad emanare numerose disposizioni a tutela degli animali, estendendo la disciplina legislativa ad ogni aspetto del rapporto con l'uomo.
Attualmente, il nostro codice penale punisce con pena detentiva l’uccisione ed il maltrattamento degli animali, e la parola “etologia” è entrata nel predetto codice, visto che il maltrattamento si ha quando l’animale viene trattato in modo incompatibile con le sue caratteristiche etologiche.
Mi è capitato di partecipare, come difensore di un’associazione animalista, a un processo celebrato contro dei dipendenti del servizio veterinario della ASL che avevano accalappiato un cane in maniera così violenta da provocargli uno shock mortale. Quelle persone sono state assolte, ma è stato interessante vedere il Giudice che ascoltava attentamente le parole del nostro consulente di parte che illustrava le caratteristiche dello shock da cattura. Bisogna capire come funziona la mente di un cane per evitare che questo possa accadere, e questo è uno dei tanti esempi che si possono fare per vedere come la legge comincia ad esigere che noi prendiamo in considerazione il modo in cui funziona la mente degli altri animali, per comportarci correttamente con loro.
Ma ci sono altre conseguenze di questa interrelazione, che ci riguardano direttamente. Perché, come dice Pietro Greco nell’articolo sopra citato, chiederci se il delfino possa essere definito “persona” con i conseguenti diritti, significa “non solo interrogarsi sulla mente degli animali non umani, ma anche sulla nostra mente e sulla nostra etica”.

Si apre il tema, che è poi l’oggetto di questo incontro, delle relazioni tra le nostre e le altre menti, che non devono essere necessariamente umane. Questo tema porta tutta un’altra serie di implicazioni, che sono anche sociali e giuridiche, sulle quali da tempo si interroga Roberto Marchesini, e che hanno ad oggetto il nostro rapporto non solo con le menti degli altri animali, ma anche il rapporto sempre più ibrido con le intelligenze artificiali. Ma, fino a quando questi temi rimarranno avveniristici (lo sono sempre meno), rimane aperta la sola discussione relativa ai rapporto con le menti degli altri animali.

L’etologia e la psicologia cognitiva ci insegnano, come si legge nella locandina del manifesto, che gli animali non sono macchine e che il loro comportamento non può essere interpretato attraverso degli automatismi. Sono esseri intelligenti capaci di operazioni mentali in alcuni casi anche superiori alle nostre. L’evoluzionismo darwiniano lega indissolubilmente la nostra mente a quella degli altri animali. C’è un’errata interpretazione dell’evoluzionismo, per cui esisterebbe una sorta di scala ascendente delle creature viventi, con alla base le creature meno complesse e all’apice quelle più evolute. L’evoluzione, invece, non è una storia di aumento di complessità di strutture che divengono così sempre migliori. Tutte le specie viventi sono egualmente evolute, secondo linee evolutive differenti, e l’intelligenza è certamente una funzione che si presenta nell'universo animale attraverso una molteplicità di attitudini.

Ma l’evoluzione non è solo biologica, ma anche culturale, per cui continuiamo ad evolverci mediante una reciproca interazione anche con gli altri animali. Ecco perché Roberto ed i suoi incontri mi confortano in quella che è l’intuizione innata che mi porta a rapportarmi con gli animali non come se la nostra intelligenza fosse “fuori dalla natura”, bensì nella consapevolezza che tutte le nostre intelligenze si trovino “dentro la natura” e siano strettamente interconnesse. 

venerdì 12 ottobre 2012

Salviamo gli alberi di viale Nettuno


Oltre un secolo fa l’americano John Muir, uno dei pionieri dell’ambientalismo conservazionista, poi diffusosi in tutto il mondo, affermava che «qualsiasi sciocco è capace di distruggere gli alberi». Tuttavia sono ancora pochi coloro che si preoccupano di custodire e salvare gli alberi dagli abbattimenti. E spesso sono gli amministratori delle città a non dare il buon esempio. Solo negli ultimi tempi, sono nati comitati contro gli abbattimenti degli alberi decisi a La Spezia (per salvare gli alberi della Cernaia), a San Lazzaro di Savena, a Mercato San Severino (Salerno), a Pordenone, a Domodossola.
Anche a Francavilla l’amministrazione sta per deliberare definitivamente l’abbattimento di tutti gli alberi del marciapiede lato mare del viale Nettuno, dalla Stazione alla Sirena, per cui anche qui è stato costituito un comitato “contro il taglio dei tigli”, sostenuto dall’associazione Buendìa, Italia Nostra, Legambiente, CONALPA, SEL e Uniti a Sinistra.
La motivazione della scelta del Sindaco è sotto gli occhi di tutti: i marciapiedi sono dissestati dall’impulso delle radici a cercare ossigeno, i cittadini inciampano e chiedono i danni al Comune, il quale peraltro non ha i soldi per pagare. Anche le foglie che imbrattano i marciapiedi in autunno sembrano acuire l’insofferenza di molti cittadini, che a questo punto non troverebbero neanche biasimevole la decisione dell’amministrazione comunale.
Eppure il viale Nettuno, proprio per i suoi tigli lussureggianti, è uno dei luoghi più belli di Francavilla, ed è una testimonianza di come sia ancora bella e vivibile la nostra città, nonostante la deturpazione urbanistica che ha caratterizzato la sua ricostruzione dopo la guerra.
I tigli, poi, sono proprio gli alberi che i moderni urbanisti utilizzano per creare le “città giardino” e per fornire alle nostre cittadine, piene di strade e palazzi, delle oasi di “biocompensazione”. Infatti tali alberi hanno un’incredibile capacità di riduzione delle polveri sottili determinate dal traffico, e ci proteggono dai raggi del sole e anche dai rumori, con le loro grandi chiome fonoassorbenti.
La domanda che sorge spontanea, allora, è la seguente: come mai si piantano i tigli per creare le “città giardino”, se poi questi alberi sono così ingestibili? La domanda, tuttavia, è mal posta, perché gli alberi sono organismi viventi, che vanno trattati con le dovute attenzioni. Se si pretende di farli vivere sotto un manto di cemento, lasciando a loro disposizione come spazio vitale una piccola aiuola di un metro quadrato, è inevitabile che si vengano a creare dei problemi.
La soluzione a tali problemi non è dunque l’eliminazione dell’albero, bensì la corretta manutenzione dello stesso.
Si può fare un esempio banale, senza andare troppo lontano, anzi, rimanendo proprio sul viale Nettuno. I tigli che si trovano sul lato opposto a quello oggetto dell’imminente intervento non presentano alcuna problematicità. Alcuni anni fa, quando l’amministrazione Angelucci aveva pensato di rendere il viale Nettuno a doppio senso di marcia, e aveva allargato la carreggiata, erano stati eliminati i marciapiedi attorno agli alberi, che ora si trovano proprio sulla carreggiata, con una semplice operazione di “abbassamento” delle radici, cioè di taglio delle radici superficiali. Da allora l’asfalto non è stato soggetto a rotture da parte delle radici. E’ bastata dunque una semplice operazione.
Dall’altro lato della strada, dove invece gli alberi rompono i marciapiedi, il problema si può risolvere con altrettanta semplicità. Esistono oggi, infatti, molti altri rimedi non invasivi per contenere le radici, ed esistono molte aziende specializzate che, utilizzando delle tecniche innovative di ancoraggio delle radici con apposite ingabbiature, permettono a quest’ultime di non sentirsi soffocate e di farle sviluppare senza creare danni.
Non si tratta di sogni utopistici, ma di realtà concrete. Il comitato per salvare i tigli ha contattato una di queste aziende, chiedendo una stima dei costi per effettuare tali lavori. Più o meno, con circa diecimila euro, si potrebbe intervenire su tutti gli alberi bisognosi di interventi.
Sappiamo che i lavori preventivati dal comune ammontano a circa quattrocentomila euro, e prevedono l’abbattimento di tutti i tigli del lato est del viale Nettuno dalla Stazione alla Sirena ed il rifacimento dei marciapiedi, con ripiantumazione di lecci.
La soluzione che proponiamo è certamente più vantaggiosa economicamente, posto che si tratterebbe di intervenire selettivamente solo su determinati alberi e solo sui tratti di marciapiedi bisognosi di risistemazione.
Peraltro bisogna sottolineare che i lecci sono alberi di prima grandezza, come i tigli. Tra quarant’anni, se i lecci riusciranno a sopravvivere, daranno gli stessi problemi dei tigli. Dunque sfugge anche la logica che dovrebbe essere sottesa all’azione dell’amministrazione, posto che vantarsi di aver sistemato i marciapiedi sapendo che in un futuro non troppo lontano la città tornerà ad avere gli stessi problemi appartiene a logiche elettoralistiche che si spera siano definitivamente superate. Diciamo “se riusciranno a sopravvivere” perché i botanici da noi interpellati prevedono grandi difficoltà di attecchimento dei nuovi alberi, i quali, ovunque dovessero essere posizionati, si troverebbero a fare i conti con le radici dei tigli, che certamente non potranno essere completamente estirpate (vista la loro estensione). Per cui, anche sotto tale aspetto, la scelta dell’amministrazione desta molta preoccupazione. Non ci vorremmo ritrovare nel futuro un viale Nettuno completamente spoglio d’inverno e rovente d’estate.
Ovviamente questo non vuol dire che gli alberi non possano essere in alcun caso abbattuti. Se tale intervento è inevitabile per la pericolosità (come per il pino di piazza Sirena) o perché gli alberi sono in cattivo stato (ce ne sono davvero pochi), si possono sostituire i tigli con altri alberi, magari non di prima grandezza (come l’ibisco o il prunus). Ma, per il resto, si potrebbe intervenire con le ingabbiature di cui ho parlato sopra, provvedendo contestualmente al rifacimento dei marciapiedi.
Ciò consentirebbe di non snaturare l’assetto che ormai ha assunto il viale Nettuno e l’aspetto dell’intero centro cittadino.
Insomma, è evidente che il problema dei marciapiedi debba essere risolto, a tutela del decoro della città e soprattutto dell’incolumità dei cittadini e di chiunque si trova a camminarvi sopra. Ma la soluzione drastica dei “tagli lineari” di tutti i tigli di quel tratto di viale appare davvero affrettata ed ingiustificata.
Quella che proponiamo, come comitato, è certamente la soluzione migliore sia dal punto di vista estetico (per la salvaguardia dell’immagine della città), sia dal punto di vista ambientale (per la purificazione dell’aria che i tigli cinquantenari possono garantire), sanitario (per la prevenzione di malattie respiratorie causate dalle polveri sottili) ed economico (per l’effettuazione dei soli interventi selettivi). Peraltro, sotto quest’ultimo aspetto, non può sottacersi che anche gli alberi hanno un loro valore commerciale, e gli alberi in questione costituiscono un patrimonio arboreo cittadino che è un bene di tutti. Quando a Pescara sono state effettuate le pavimentazioni a raso e sono state sostituite le alberature, la cosa è stata portata in consiglio comunale. Si deve dare ai cittadini, anche per il tramite dei loro rappresentanti, la possibilità di far sentire la propria voce su un intervento che solo eufemisticamente può definirsi di “manutenzione straordinaria”.
Con la gestione controllata delle radici, mediante le ingabbiature di nuova generazione che proponiamo, possiamo consentire alla nostra città di superare i problemi di dissesto dei marciapiedi rimanendo una città a misura d’uomo e del suo diritto a vivere in un luogo bello e sano dal punto di vista naturalistico e ambientale. Gli alberi non a torto vengono definiti “uno dei più grandi successi della natura” e laddove possibile, come nel nostro caso, vanno salvaguardati come atto di rispetto e di generosità verso coloro che verranno dopo di noi.